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INVICTUS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 febbraio 2010
 
di Clint Eastwood, con Morgan Freeman, Matt Damon, Scott Eastwood (Stati Uniti, 2009)
 
Con identica umiltà, semplicità e aspirazione alla grandezza INVICTUS riflette in modo esemplare e sorprendente l'unicità del percorso umanista di Nelson Mandela. Dopo un film immenso come GRAN TORINO, somma considerata definitiva di un fine carriera inimitabile (dieci grandi film in dieci anni), da magnifico ottantenne Clint non solo si è rimesso subito al lavoro: creando un'opera per tanti versi innovativa e ottimista se confrontata all'amarezza, allo spirito di rivalsa, alla regressione che permeava i meandri morali crepuscolari dei suoi capolavori, da GLI SPIETATI a MYSTIC RIVER, a LETTERE DA JIWO JIMA.

L'innovazione non è nella rappresentazione dello sport (c'era stato il pugilato di MILLION DOLLAR BABY), ma in quella dell'uso politico che ne fece nel 1994 un nero di oltre 70 anni, reduce da trenta trascorsi in prigione, appena eletto a capo di uno Stato uscito da secoli di segregazione razzista. Nelson Mandela non pensava alla Coppa del mondo di rugby del 1995 in Sudafrica per fini promozionali, ma come arma di riconciliazione in un Paese lacerato dall'apartheid. Rovesciava l'immagine degli Springboks, la squadra nazionale simbolo da sempre del potere degli Afrikaners, odiata dalla popolazione di colore (e “da me stesso”, confesserà Mandela), che si recava allo stadio tifando per gli avversari.

Eastwood non si addentra in un'analisi storica: significa il film grazie alla qualità della sua cronaca. Che, prima che ai rugbymen capitanati dal volitivo Matt Damon, è tutta rivolta all'interno degli avvenimenti, all'intimità dei sentimenti, alle conseguenze che le storie private finiscono per portare su quelle pubbliche. Dalle prime immagini di un classicismo d'altri tempi (il risveglio del presidente nella sua nuova residenza, quel modo di riassettare con cura le lenzuola come nella consuetudine carceraria), nella semplicità cosi simile all'umiltà del processo in atto, lontano da ogni ridondanza agiografica, Eastwood racconta la riconciliazione, la magnanimità, il pudore dello straordinario percorso di Nelson Mandela nel minimalismo umano delle guardie del corpo, nella quotidianità modesta dei collaboratori domestici.

Ma questa svolta nella solidarietà idealistica, nella generosità dei sentimenti e nella fede nell'uomo che ricorda, quasi curiosamente per il vecchio Dirty Harry, quella leggendaria di Frank Capra, non sarebbe stata possibile senza l'apporto indimenticabile di Morgan Freeman in quello che s'indovina essere il ruolo della vita. L'energia tranquilla della sua accorata introspezione, la commozione di una resa incredibilmente trattenuta traducono in maniera inarrivabile la frase di Mandela nel film, “Il perdono libera l'anima e allontana la paura. Ecco perché è un'arma cosi potente.”


   Il film in Internet (Google)

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